Sin dalle prime luci dell'alba di oggi (22 dicembre) i militari hanno dato seguito alle misure cautelari emesse dal gip. Un'indagine durata più di un anno. Nel mirino una rete attiva tra Pescara, Montesilvano e l'Albania per un attività criminosa che avrebbe portato a oltre 150mila euro di introito al mese
Sgominata dai carabinieri una rete criminale dedita al traffico di stupefacenti, in particolare cocaina: 16 le ordinanze cautelari eseguite sin dalle prime ore del mattino di oggi (22 dicembre) dai militari, 9 in carcere e 7 ai domiciliari. A emetterle il giudice per le indagini preliminari su richiesta del sostituto procuratore della repubblica di Pescara che ha coordinato e diretto tutte le attività di indagine. “MareMagnum” questo il nome dato all’importante operazione scaturita da una complessa attività investigativa condotta dai carabinieri della sezione operativa del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Pescara, avviata nel marzo del 2024, che ha consentito di raccogliere gravi elementi indiziari nei confronti di numerosi soggetti ritenuti coinvolti, a vario titolo, in un articolato sistema di traffico di sostanze stupefacenti. Un’attività che ha coinvolto non solo Pescara, ma anche Montesilvano e altre province in tutto il territorio nazionale con ramificazioni estese fino all’Albania. Particolare attenzione è stata posta agli ambienti della cosiddetta “Pescara bene” su cui sono stati disposti mirati servizi di osservazione legati al consumo di droga. Sarebbe così emerso un tessuto criminale ben strutturato e radicato, riconducibile a soggetti di nazionalità italiana e albanese, non necessariamente operanti in maniera coordinata, ma comunque inseriti in una rete di relazioni funzionali al traffico di stupefacenti. Grazie a un’attività investigativa capillare e metodica, i militari dell’arma sarebbero riusciti a ricostruire l’intera filiera dello spaccio, risalendo dai livelli più bassi, fino ai vertici dell’organizzazione, individuando e ricostruendo i nodi operativi. Personaggi insospettabili attivi in vari settori della vita economica cittadina, imprenditori di vario genere, professionisti (avvocati, medici), titolari di ristoranti, sarebbero finiti sotto scacco da parte di un nutrito gruppo di spacciatori, sempre più organizzato. Il sodalizio criminale, che sarebbe stato caratterizzato da una struttura frammentaria, ma fortemente interconnessa, comprenderebbe figure eterogenee: da criminali di elevata pericolosità a spacciatori di strada oltre a una vasta e consolidata platea di consumatori. Lo spaccio, soprattutto di cocaina, si sarebbe svolto soprattutto nelle zone della movida pescarese, in alcuni complessi residenziali di Montesilvano e all’interno di esercizi pubblici come ristoranti, stabilimenti balneari del capoluogo adriatico frequentati da soggetti proprio della “Pescara bene”. Quella che era stata messa in piedi sarebbe quindi stata un’articolata rete di spaccio caratterizzata da una modalità di operare improntata a continuità, discrezione e gestione quasi familiare del traffico di sostanze che grazie a un flusso costante di cessioni giornaliere avrebbero assicurato ai gestori dell’attività criminale entrate per oltre 150mila euro al mese. Gestori del traffico illecito che non avrebbero esitato a ricorrere alle maniere forti per imporre il pagamento di partite di stupefacente o per far valere la propria autorità all’interno della cerchia di spaccio. Una parte degli indagati risulterebbe già nota alle forze dell’ordine per precedenti vicende di cronaca giudiziaria; altri, invece, in larga misura si tratterebbe di consumatori abituali, sarebbero finiti sotto la lente d'ingrandimento per la posizione sociale ricoperta e al prestigio economico di cui godono. L’indagine, durata più di un anno, ha portato al sequestro da parte dei carabinieri di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, in particolare 2 chili di cocaina, alla segnalazione di numerosi assuntori e all’arresto di diverse persone anche tra gli odierni indagati. “Il quadro indiziario raccolto si fonda - specificano i carabinieri nella nota diffusa - in modo significativo, seppur non esclusivo, su attività di intercettazione di conversazioni tra presenti, telefoniche e telematiche, strumenti cui la normativa vigente riconosce il valore di fonti di prova primarie e imprescindibili, ricordano i militari, soprattutto in contesti criminali come quello del traffico di stupefacenti, spesso caratterizzato da modalità operative silenti, assenza di manifestazioni esteriori e da un diffuso clima di omertà che ne amplifica la pericolosità sociale”.